Differenze no-profit ETS. Quando si parla di no-profit gli istituti nazionali di statistica considerano come tali quelle istituzioni aventi due specifici requisiti: la non distribuzione di utili tra gli aderenti e la natura giuridica privata. Nel 2011, il terzo Censimento Istat delle istituzioni no-profit ne ha contate 301.191, di cui il 52.5% si è dichiarato impegnato in attività sportive, culturali e ricreative mentre il restante 47.5% in attività di interesse generale, come promozione di diritti dei soggetti più deboli.
Ma qual è la differenza tra no-profit e terzo settore? Se il Libro bianco del Terzo settore equipara il no-profit e Terzo settore Frisanco afferma che il no-profit sia la definizione più ampia, all’interno della quale è possibile individuare le organizzazioni di Terzo settore.
Quindi, un’organizzazione è no-profit se ha natura privata e se non vi sono distribuzioni di utili. Ugualmente, può essere anche di Terzo settore, in caso di democrazia partecipativa e se si agisce in termini di solidarietà. Sono ad esempio no-profit ma non di Terzo settore la maggior parte delle fondazioni, enti ecclesiastici e molte università.
Differenze no-profit ETS: tra associazioni no-profit ed enti del Terzo settore
La riforma del Terzo settore, avviata con Legge delega 6 giugno 2016 n. 106, in attuazione della quale è stato varato, tra gli altri, il D. Lgs. 3 luglio 2017 n. 117, cd. Codice del terzo settore, ha cercato di uniformare la normativa in materia, dando delle definizioni più precise degli enti e del loro campo d’azione.
Anche se siamo abituati a far coincidere il Terzo settore con l’intero universo del no-profit, in realtà non sono proprio la stessa cosa. Ci sono delle differenze no-profit ETS. Il Terzo settore storicamente, a prescindere dalla riforma, è nato come territorio a metà tra lo Stato (settore pubblico) e il Mercato (settore privato), ed è da sempre costituito da soggetti di natura privata senza scopo di lucro, i quali perseguono delle finalità solidaristiche e di utilità sociale.
Terzo settore e no-profit non coincidono. Sicuramente i soggetti appartenenti al Terzo settore sono enti no-profit ma, al contrario, non si può dire lo stesso: ci sono enti no-profit che non appartengono al Terzo settore. Sono un esempio i partiti politici, i sindacati, o le associazioni riunite per i propri ideali.
In cosa si differenziano le associazioni no-profit e gli enti no-profit
Le associazioni no-profit sono enti privati, senza scopo di lusco, che reinvestono tutti i loro profitti generati per scopi che rispondono all’interesse generale o nei confronti di una minoranza svantaggiata. Per riconoscersi tali devono essere orientate al raggiungimento di obiettivi di utilità sociale.
L’aspetto che lì contraddistingue è il non redistribuire i propri profitti ai membri. Possono ottenere finanziamenti da diverse fonti, tra cui donazioni private, sponsorizzazioni e raccolte fondi. Altro aspetto importante, fortemente voluto dalla riforma, è la trasparenza. Le associazioni sono tenute a rendere conto ai donatori, ai membri e alle autorità di regolamentazione, delle loro attività.
Per creare un’associazione no-profit occorre, in primo luogo, definire gli obiettivi che la stessa intende perseguire, inventare un nome e un logo, per poi dedicarsi alla stesura dello statuto, dove vanno inserite le modalità operative dell’associazione, la natura, lo scopo e la struttura dell’associazione. Va inoltre nominato un presidente e un consiglio di amministrazione. La mia è un’associazione no-profit se:
- Ha natura giuridica privata
- Non vi è distribuzione di eventuali utili
- È formalmente costituita, tramite un contratto, accordo tra le parti o uno statuto
- si autogoverna, non è quindi guidata da altri
- in essa vi è una parte di lavoro volontario (basta, ad esempio che a non percepire compenso sia solo il presidente o alcuni dirigenti)
Manca, tra i requisiti, un riferimento, anche minimo, al perseguimento di fini di “utilità sociale”, di tipo solidaristico o di interesse generale. Quest’ultimo aspetto, invece, è un criterio prioritario nella definizione e nell’identificazione degli enti del Terzo settore. Come lo è anche l’assenza dello scopo di lucro, il “non profitto”. Gli enti del Terzo settore sono no-profit e si dividono nelle seguenti categorie:
- Organizzazioni di volontariato (ODV)
- Associazioni di promozione sociale (APS)
- Imprese sociali
- Enti filantropici
- Reti associative
- Società di mutuo soccorso
- Altri enti del Terzo settore
Sono parzialmente ETS anche gli enti religiosi. Non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche, i sindacati, le società, le formazioni politiche, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro e gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti.
L’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo settore è obbligatorio per essere riconosciuti come ETS ed è fondamentale per ottenere tutte le agevolazioni e facilitazioni previste dall’omonimo Codice.
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No-profit vs. enti del Terzo settore: quali sono le differenze no-profit ETS
Alla luce del Codice del Terzo settore possiamo certamente dichiarare esserci una netta distinzione tra enti del Terzo settore e tutti gli altri enti no-profit, diversi dai primi sulla base di alcuni criteri specifici. Differenze no-profit ETS:
- Sono enti del Terzo settore tutto quegli enti no-profit che vorranno o potranno iscriversi al Runts, in quanto in possesso dei requisiti specifici previsti dall’art.4 del CTS
- Resteranno enti no-profit tutti gli altri che non vorranno o non potranno iscriversi al Runts, per mancanza dei requisiti specifici
Fra le organizzazioni no-profit che sono anche di Terzo settore si può individuare un gruppo ancora più ristretto, comprendente le organizzazioni di volontariato, le quali agiscono tenendo fede ai principi della gratuità, solidarietà e democraticità, oltre ad essere regolate dalla legge 266/1991. Per costituire un’ODV è richiesto:
- Un numero di persone fisiche non inferiore a sette
- Un numero di almeno tre ODV socie, a cui si possono aggiungere, in qualità di soci, altri ETS, purché il loro numero non sia superiore al cinquanta per cento del numero delle ODV
La denominazione sociale deve contenere l’indicazione di “organizzazione di volontariato” e l’acronimo ODV. L’attività sarà svolta principalmente dai volontari associati pur essendoci la possibilità, per l’organizzazione di volontariato, di avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo.
Le associazioni iscritte al registro apposito delle ODV automaticamente vengono aggiunte anche al Registro Unico Nazionale degli enti del Terzo settore. Rispetto alle altre organizzazioni, sono soggette a un regime fiscale agevolato.
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