Salute mentale, non sei rotto: perché non dobbiamo avere fretta di guarire

Guarire non è una gara: ogni percorso psicologico ha il suo tempo, e ogni fragilità merita rispetto. Scopriamo insieme alcune strategie per curarsi, giorno dopo giorno.

Anita Maiorana
Anita Maiorana
Anita Maiorana, classe 2003, è un’autrice emergente. Appassionata di psichiatria e psicologia, racconta storie profonde che esplorano l’animo umano e le sue fragilità.
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Come prenderci cura della nostra salute mentale? E quante volte chi vive un disagio interiore si è sentito dire frasi come “Devi solo reagire”, “Devi uscirne”, “Devi guarire”. A volte con affetto, altre con impazienza, ma quasi sempre con una sottile pressione: quella di “tornare come prima”, di rimettersi in piedi velocemente, di dimostrare che ce l’ha fatta.

Ma cosa succede quando guarire non è immediato? Quando il dolore resta? Quando la mente ha bisogno di tempo, e quel tempo non è mai abbastanza per gli altri?

Questo articolo nasce per ribaltare una narrazione: non sei rotto solo perché non sei ancora guarito. C’è valore anche nei momenti sospesi, c’è dignità anche nella fragilità. E soprattutto, non sei solo.

Il tempo della mente non si misura in giorni

Viviamo in una società che corre. Tutto deve avere un inizio, uno sviluppo e – soprattutto – una fine. Vale per il lavoro, per le relazioni, per gli obiettivi. E purtroppo, spesso, anche per la salute mentale.

Ci insegnano che “stare male” è una parentesi da chiudere in fretta. Ma la verità è che la mente non segue un calendario. Il dolore emotivo non ha scadenze. Non ci sono terapie con garanzia “soddisfatti o rimborsati” in tre mesi.

Ogni persona ha un tempo tutto suo. C’è chi migliora velocemente, e chi ci mette anni. C’è chi impara a convivere con la sofferenza, senza mai arrivare davvero a un “dopo”. E non per questo vale di meno.

Accettare i propri tempi non è un segno di debolezza: è un atto di forza. Di rispetto verso se stessi. Di amore autentico.

Salute mentale, voci che non chiedono il permesso

A volte ci si sente sbagliati solo perché non si rientra in una “storia di guarigione perfetta”. Ma la verità è che ogni percorso ha il suo modo di esistere. E tante persone, anche nel mezzo della sofferenza, vivono, resistono, amano.

Leggiamo ora alcune testimonianze raccolte all’interno di un Centro di Salute Mentale in Romagna. Pazienti che convivono con disturbi psichiatrici diversi hanno deciso di condividere, sotto uno pseudonimo, un frammento del loro percorso. Le loro parole ci aiutano a comprendere, senza filtri, cosa significa affrontare la sofferenza mentale giorno dopo giorno.

Sara, 23 anni, bulimia nervosa: “Sto lavorando su me stessa da anni. A volte va meglio, altre ricado. Ma non sono più la ragazzina che si odiava allo specchio. Anche se il disturbo è ancora con me, oggi riesco a parlargli. E a non farmi schiacciare.”


Luca, 28 anni, disturbo borderline di personalità: “Vivere coi miei sbalzi emotivi è un campo minato. Ho ferito persone, ho fatto scelte impulsive. Ma ora ho imparato a chiedere aiuto. Ho una dottoressa che mi conosce a fondo. Non sono ‘guarito’. Ma finalmente non mi vergogno più del mio caos.”


Giulia, 31 anni, depressione ricorrente: “Quando sto bene, ho paura a dirlo. Perché so che potrei ricadere. Ma anche questo fa parte del mio percorso. Ho smesso di cercare una versione di me ‘senza ombre’. Ora mi prendo cura della mia luce, quando c’è. E non mi colpevolizzo quando si spegne.”


Marco, 25 anni, disturbo ossessivo-compulsivo (DOC): “Le ossessioni non mi hanno mai lasciato davvero. Ma ho smesso di nascondermi. Le persone che amo sanno cosa affronto. Ogni giorno è una sfida, ma ogni giorno la affronto. Non sarò “normale”, ma sono vero.”


Queste voci non cercano pietà. Non cercano nemmeno l’applauso. Sono qui per ricordarci che si può essere autentici, anche nel dolore. E che la guarigione non è un punto d’arrivo per tutti, a volte è solo imparare a camminare con un carico più leggero.

Vivere, anche quando fa male: piccole strategie che aiutano

Non esiste una formula magica per affrontare il disagio psichico. Ma esistono strumenti che possono rendere la quotidianità un po’ più vivibile. Nessuna pretesa di “guarigione definitiva”, solo piccole ancore per restare a galla, vediamo insieme alcune piccole strategie efficaci.

1. Crearsi una routine gentile

Avere orari stabili, anche minimi, può aiutare a regolare il ritmo sonno-veglia e offrire un senso di continuità. Anche solo iniziare la giornata con una tazza di caffè e cinque minuti di silenzio può fare la differenza. Secondo il Mental Health Foundation del Regno Unito, la routine è uno degli strumenti più efficaci per prevenire le ricadute depressive.

2. Scrivere per conoscersi

Il journaling – scrivere ogni giorno pensieri ed emozioni – è usato anche in ambito terapeutico per ridurre l’ansia e aumentare la consapevolezza emotiva. Non serve essere scrittori, basta essere sinceri. Come scrive James Pennebaker, autore di Expressive Writing, “la scrittura ha il potere di trasformare il caos interno in parole comprensibili”.

3. Chiedere aiuto (e farlo senza colpa)

Parlare con uno psicologo o uno psichiatra non è un fallimento. È un gesto di cura. Anche cercare uno sportello gratuito o affidarsi al proprio medico di base è un ottimo inizio. In Italia, è attivo il numero verde 800.833.833 del servizio di supporto psicologico promosso dal Ministero della Salute e dalla Croce Rossa.

4. Cercare una comunità, anche piccola

Non servono decine di amici. A volte basta una persona che ci ascolti senza voler “aggiustare” niente. Che ci permetta di esistere così come siamo. 

Non devi essere perfetto per avere valore

Soffrire non ti rende debole. Avere bisogno di tempo non ti rende sbagliato. E convivere con un disagio non significa essere incompleto: significa essere umano.

Non esiste un’unica versione giusta di “guarigione”. Esiste solo il tuo percorso, con le sue salite e le sue pause, con le ricadute e i piccoli traguardi invisibili agli altri.

La verità è che non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. E a volte, stare in piedi – anche traballando – è già una forma di resistenza. Di vita. Di libertà. Perché non serve essere guariti per avere qualcosa da dire. E nemmeno per essere ascoltati. 

Leggi anche: Psicologia: quante discipline esistono? Classifica migliori università e formazione telematica

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