Una lettera, dal carcere di massima sicurezza di Sassari, indirizzata alla più alta carica dello Stato in cui chiede di essere “Fucilato, e che la condanna venga eseguita perché dopo 24 anni, di cui 23 passati al 41 bis, sono morto già tante di quelle volte che non lo sopporto più”. Così scrive l’ex boss Cappello, che sta scontando l’ergastolo in regime di 41 bis (carcere duro). Lettera consegnata tramite il suo avvocato Giampiera Nocera, a sua volta con la mediazione dell’associazione Yairaiha Onlus, che da anni si batte contro l’ergastolo ostativo.
Fine pena mai
“Turi” Cappello, capomafia arrestato nel 1992 a Napoli quando aveva solo 33 anni, viene condannato all’ergastolo con sentenza “fine pena mai”. Sta inoltre affrontando un processo attualmente in corso a Catania scaturito dall’inchiesta Penelope, eseguita nel 2017. Una lettera, la sua, che fa trasparire uno stato di frustrazione e rassegnazione. “[…] Non lo sopporto più; ogni volta che lo rinnovano muoio [l’ergastolo Ndr]; quando guardo gli occhi dei miei figli, dei miei cari, di mia moglie penso che la condanna a morte è anche per loro”. Parla di morte “nascosta”, dietro una sentenza di ergastolo, al 41 bis, dove “Non puoi farti nemmeno un uovo fritto”. Non si definisce un santo, o meglio, scrive: “ero un delinquente”, e continua rivolgendosi al Capo dello Stato:
Sono 10 anni che ho dato un taglio a tutto per amore dei miei figli e dei miei cari.
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Non intendo impiccarmi o suicidarmi
Nelle sue parole precisa che non intende suicidarsi affermando: “perché l’ho visto fare tante di quelle volte che non voglio pensarci”. Evidenti gli attacchi al regime duro, come le strette limitazioni, fisiche e emotive, in particolar modo riguardo i contatti con la famiglia. Famiglia richiamata spesso nelle sue parole, sia per le difficoltà relazionali sia per il “marchio” dato dalla parentela con un “mafioso”. Conclude con un Post Scriptum:
Non restituite il corpo alla mia famiglia, sarebbero per loro altri problemi. Grazie.