Per un bambino il primo giorno di scuola è sempre un giorno emozionante, ma è quasi un evento scontato. Per Charbel non è stato così: nato in Siria sette anni fa e scampato per miracolo alle bombe e alla guerra che da anni dilania il paese, è arrivato solo ad agosto a Milano, dopo aver vissuto gli ultimi quattro anni in un campo profughi in Libano. Da lì è partito con uno dei voli aerei organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio e dal Vaticano per portare i profughi in Italia attraverso quelli che si chiamano “corridoi umanitari”. Niente barconi, nessun rischio di naufragio, nessun salvataggio in mezzo al mare. Questo non significa che la vita di Charbel sia stata semplice: ha vissuto esperienze che segnerebbero la vita di qualunque adulto, affrontando ogni giorno la morte durante la guerra che lo ha costretto con i genitori a lasciare il paese natale, Hasaka. Quello che ha potuto evitare, è stato il viaggio, spesso senza ritorno, verso Lampedusa.
La sua è una storia che ci riempie di speranza. Li abbiamo visti arrivare sperduti, stanchi, sfiniti dalla fatica dell’esilio. Li abbiamo accolti in un appartamento che ci è stato lasciato in eredità da un sostenitore a Lambrate. E poi ci siamo dati il cambio in tanti per assisterli, aiutarli in questi primi passi, per insegnare loro l’italiano e perché non si sentissero soli.
Dal 2016 sono oltre 2.600 quelli arrivati con questo progetto che si propone come via sicura e legale per chi fugge dai conflitti, nella speranza che l’Europa e l’Italia si attrezzino per rendere questo canale stabile. Questa è la vera, unica alternativa alle politiche dei muri e dei porti chiusi.ù