“La mia operazione è quella di creare uno scuola 3.0, dove smartphone e strumenti digitali siano una leva per comprendere la realtà, infatti noi non utilizziamo solo i cellulari ma riflettiamo sul loro uso e su come trasformano le nostre esistenze. Ho proposto lo smartphone nello svolgimento di prove di filosofia ‘uniche’, attraverso l’uso di una piattaforma digitale”. Queste le parole di Tommaso Ariemma, professore al Liceo Scientifico “C. Miranda” di Frattamaggiore nella provincia di Napoli, già noto per i suoi esperimenti, fra cui il progetto di insegnare filosofia con le Serie TV, dando una sfumatura pop al suo metodo didattico. La posizione del giovane professore appare chiara: non demonizzare il contesto attuale, né la tecnologia per trasmettere una disciplina così tradizionale e, se vogliamo, austera come la filosofia.
Ma in cosa consiste il compito in classe di filosofia sullo smartphone?
Il progetto “Filosofia Smart” prevede la scelta dell’utilizzo di una piattaforma on-line per la verifica e il monitoraggio degli standard di apprendimento attraverso prove strutturate. Una modalità pratica per soddisfare quanto indicato nel Piano Nazionale della Scuola Digitale, in relazione al disciplinamento dell’utilizzo degli smartphone durante le attività didattiche. In questo senso l’esperimento mira al superamento della troppo drastica Direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione, risalente al 2007, sulle linee di indirizzo e utilizzo di “telefoni cellulari” nelle scuole. I docenti dell’ambito didattico storico-filosofico si sono fatti promotori dell’iniziativa e nella giornata dell’8 novembre, hanno proposto una prova “smart”, interamente digitale.
La filosofia può essere smart? Sembrerebbe di sì
La prova è stata svolta in modo più che soddisfacente. Lo smartphone? Un ostacolo spesso per i docenti, ma che può diventare una risorsa formidabile. Io, ad esempio, l’ho usato finora per sensibilizzare gli studenti sui disturbi del comportamento alimentare, attraverso un uso strategico della fotocamera. Oppure facendo compilare suggestivi “diari della disconnessione”: per una settimana dovevano raccontare la loro vita senza i cellulari.
di Silvia Buffo