giovedì, 13 Marzo 2025
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Rebibbia, i detenuti sfilano con capi cuciti da loro: l’alta sartoria come possibilità di riscatto

Sono 8 i detenuti che hanno ottenuto il diploma dall’Accademia dei Sartori, in carcere, e che per una sera hanno indossato i capi realizzati da loro, circa trenta, tra giacche, gilet, pantaloni e cappotti.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.
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Nel cortile dell’Area Verde dell’Istituto penitenziario di Rebibbia Nuovo Complesso, che ospita 1560 detenuti, hanno sfilato 8 di loro per il progetto “Made in Rebibbia”, portato avanti dal 2017 dall’Accademia Nazionale dei Sartori. I sarti-modelli hanno imparato un mestiere dietro le sbarre, realizzando gilet, camicie e pantaloni che hanno poi indossato durante la sfilata, presentata da Myriam Fecchi.

Tra il pubblico, oltre ai familiari, anche chi ce l’ha fatta, e lavora già in atelier dopo aver scontato la pena, Massimiliano Di Silvestre, presidente e ad di Bmw Italia s.p.a., Salvatore Nicola Nanni, l’Ad di Bmw Roma che è sponsor del progetto, e l’assessore del Comune di Roma a Moda, Grandi eventi, Sport e Turismo, Alessandro Onorato. In prima fila non poteva mancare Alessia Rampazzi, direttrice “reggente” del carcere perché in attesa di un nuovo direttore, la funzionaria che ha reso possibile la sfilata.

Alta sartoria a Rebibbia: lavoro e riscatto sociale per i detenuti

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Sono 36 i capi indossati durante la sfilata, frutto di un anno di corso di alta sartoria maschile durato otto mesi, 650 ore in totale. Tra gli insegnanti Alessandro, Fabio, Giuseppe, Giovanni, Seifedine, Marian, Mohamed e Bledi, giovani e meno giovani sarti che hanno insegnato a tagliare e cucire ai detenuti. Maestro del corso è Sebastiano Di Rienzo, ex presidente dell’Accademia dei Sartori, che porta avanti il progetto sociale cominciato dall’ex presidente dei Sartori scomparso, Ilario Piscioneri. Riguardo al progetto spiega così il maestro dell’Accademia Gaetano Aloisio, che è anche Presidente della World Federation of Master Tailors, come riportato da Repubblica:

Questo progetto va oltre l’obiettivo dell’Accademia che è rigenerare la sartoria. È l’opportunità di iniziare una vita nuova, di regalare un sogno anche a chi è stato meno fortunato di noi.

Uno studio recente dell’Università Bocconi afferma che l’84% dei detenuti che frequentano corsi e tirocini, una volta tornato in libertà, viene assunto con un contratto regolare.

Ci piacerebbe allargare questa iniziativa anche ad altri carceri, magari anche minorili, per permettere a chi ha fatto degli errori di lasciarsi alle spalle un passato difficile.

Alta sartoria a Rebibbia: l’esempio di chi ce l’ha fatta

Tra il pubblico è poi salito sul palco Manuel Zumpano. Il 38enne si è diplomato in carcere, dove ha seguito il corso di cucito. Una volta libero ha trovato lavoro presso la sartoria Ilario Piscioneri, il primo ad avere l’idea di insegnare un mestiere ai reclusi. Riguardo a questa iniziativa spiega Zumpano: “È davvero potente. Io l’ho fatta per migliorare, per me stesso, ma, in generale, dimostra che anche le persone che hanno passato dei momenti difficili possono fare qualcosa per la società”. Mentre in un’intervista a Vita l’ex detenuto racconta come sia nata questa sua passione dietro le sbarre:

L’attività di sartoria è arrivata dopo quattro anni di carcere. Ho cominciato per gioco, all’inizio non riuscivo neanche a tenere un ago in mano.

Iniziare questo corso mi ha fatto vedere la vita, e il futuro, sotto un’altra prospettiva: mi sono sentito parte di qualcosa di utile e importante. Ho dato tutto me stesso, per me era un vero e proprio lavoro.

Oggi, spiega la funzionaria del carcere Alessia Rampazzi “non è importante quello che hanno fatto ieri i detenuti ma quello che faranno domani”. Quindi il carcere visto, oltre come luogo dove scontare la pena, anche come possibilità di studiare in vista di un nuovo futuro, dove il riscatto sociale diventa una possibilità. Tutto questo grazie all’arte e alla creatività, alla manualità e all’artigianato che diventano veicoli di rieducazione e reinserimento sociale per restituire dignità alle persone dimenticate dalla società.

Leggi anche: Giorgia Righi, una forza oltre la disabilità: la sua storia al cinema a Roma

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Michela Sacchetti
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Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.

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