Il caso Ciro Grillo e abusi si riapre, carico di domande e indignazione. “Come le sono stati tolti gli slip?”, “Perché non è riuscita a scappare?”, “Perché non ha alzato il bacino e usato i denti?”. Queste sono state le domande rivolte alla 23enne italo-norvegese che ha accusato Ciro Grillo e altri tre amici per violenza sessuale. La giovane, infatti, ha sporto denuncia il 26 luglio 2019 al Comando della Stazione Carabinieri di Milano Porta Garibaldi, raccontando cosa fosse accaduto nella villetta a schiera di Porto Cervo, di proprietà della famiglia Grillo.
Quale accusa pende su Ciro Grillo e i suoi 3 amici?
Di cosa ha accusato i quattro ragazzi? La ragazza 23enne che ha denunciato Grillo e i suoi amici ha affermato di essere stata costretta ad avere con loro rapporti sessuali e a bere vodka contro la sua volontà.
Secondo i legali della controparte, però, le dichiarazioni della giovane hanno riportato delle contraddizioni interne e proprio nell’ultima udienza a rivolgerle queste domande “troppo intime” è stata la legale della controparte Antonella Cuccureddu, secondo cui gli interrogativi non sono stati illeciti, in quanto “nei processi si ricostruiscono i fatti”.
Caso Ciro Grillo, troppo spesso vengono poste domande colpevolizzanti alle donne
Questa modalità di racconto, “un interrogatorio da Medioevo”, come definito dall’avvocato della ragazza Dario Romano, pone in essere una questione: perché alle vittime di violenza sessuale vengono fatte domande insinuose e colpevolizzanti dei loro atteggiamenti e reazioni per non essersi difese? E perché vengono accusate di aver presentato la denuncia troppo tardi? Fa effetto per di più sentirsi porre queste domande da donna a donna.
Quali sono le domande da porci davanti al victim blaming durante i processi?
È più che mai opportuno ricordare le parole ancora attuali dell’avvocata Tina Lagostena Bassi a proposito dell’iconico caso del Circeo: “La vera imputata è la donna”.
Le questioni che dobbiamo porci sono: come fa una donna ad avere il coraggio e la forza emotiva di reagire in preda alla paura? Come si fa a porre domande martellanti, insinuazioni insistenti sulla donna che, vittima di violenza, non si sia in qualche modo voluta divincolare? Come si fa a non avere un minimo di empatia sull’istinto di sopravvivenza, che nel caso di molestie fisiche e sessuali non può che tradursi con l’unica via percorribile, quella della resistenza passiva?
Come si fa a non empatizzare con la condizione femminile di minor forza fisica rispetto al genere maschile? E quindi la connaturata impossibilità di difendersi? Considerare in primis la resistenza passiva come unica via di salvezza e autodifesa è doveroso. A dimostrarlo l’esito del caso del Circeo in cui la vittima, Donatella Colasanti, ritrovata nel bagagliaio in via Pola a Roma, fingendosi morta e resistendo a ogni sorta di abuso, si è assicurata la sua sopravvivenza.
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