La posizione del premier Giorgia Meloni è stata chiara, fin da prima del Consiglio Europeo del 20-21 marzo, soprattutto sul tema più dibattuto, il piano “ReArm Eu”, presentato dalla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen.
Per Meloni lo stesso nome del piano dovrebbe essere cambiato, non solo per non confondere i cittadini, ma perché “rafforzare le nostre capacità difensive non significa banalmente acquistare armamenti”, come ha dichiarato nel suo intervento alla camera in vista del Consiglio Europeo straordinario sulla difesa. Allo stesso modo si è espressa a Bruxelles, dove ha ribadito la sua posizione:
Mi sono permessa di segnalare che il concetto di difesa in Europa è un concetto un tantino più ampio della parola ‘riarmò, credo che la parola ‘riarmò non sia adatta per parlare di quello che stiamo facendo.
Il concetto di sicurezza e di difesa oggi riguarda tantissimi domini, la vita quotidiana dei cittadini e non semplicemente di essere dotato di armi che sicuramente è un tema, ma c’è il tema delle materie prime, della cybersicurezza, delle infrastrutture.
Forse stiamo dando dei messaggi che per i cittadini non sono chiarissimi e bisogna chiarire quello che stiamo facendo.
Il messaggio di Giorgia Meloni sul “riarmo” a Bruxelles

Il presidente del Consiglio Meloni oltre a ribadire la sua posizione sul riarmo, visto come un aspetto della questione difesa, non il centro su cui far leva anche per non confondere i cittadini, riguardo al possibile invio di truppe europee in Ucraina, ha poi aggiunto:
Sono molto perplessa su questa proposta, non la considero particolarmente efficace e la considero anche molto complessa. Penso che la questione centrale della pace in Ucraina sulla quale dobbiamo fare tutti gli sforzi possibili per favorire un processo di pace, salutando favorevolmente l’iniziativa americana, ma una pace giusta ha bisogno di garanzie certe che secondo me sono sempre nell’alveo dell’Alleanza Atlantica.
L’unico modo serio per farlo è quello, ma inviare truppe non meglio identificate europee è forse la più complessa e la meno efficace. Ho anche escluso la possibilità che in questo quadro possano essere inviati soldati italiani, penso che dobbiamo ragionare su soluzioni più durature. Altro tema sono le missioni di peacekeeping ma è tutta un’altra materia.
Meloni, il sì in Consiglio Europeo cerca di dominare le tensioni interne
Nonostante il premier Meloni abbia espresso tutti i suoi dubbi e riserve, con il suo discorso in Consiglio Europeo, da parte sua c’è stato il sì al piano di riarmo. Ora dovrà affrontare tutte le questioni interne, che si erano venute a creare anche da parte della stessa alleata Lega, la quale fino a ieri sosteneva che non poteva votarlo.
Sebbene ci sia stato il cambio di nome, da il guerresco “ReArm” a “Readiness 2030”, traguardo visto come un successo italiano, il premier si è mosso in sintonia con gli altri paesi. L’aspetto più critico per l’Italia, relativo al piano, riguarda l’aumento delle spese per la difesa. Se l’Italia non invierà mai soldati italiani in Ucraina, certamente dovrà aumentare le spese per la difesa. In generale gli 800 miliardi che l’Europa dovrà mobilitare per il riarmo verranno tutti da nuovo debito. L’Italia non si è sottratta nel partecipare, con il sì di Meloni, ma l’idea di spendere tutti questi soldi in armi, che si andranno ad aggiungere al 138 per cento del Pil entro il 2026, non rende felici.
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