Baby Reindeer, la miniserie in versione dark comedy che fa da specchio alla complessità umana

Dentro Baby Reindeer, la nostra recensione sulla miniserie incentrata sulla storia vera di Richard Gadd. Una potente metafora sulla difficile gestione dei traumi psicologici.

Alfredo Polito
Alfredo Polito
Si occupa di copywriting, project management e comunicazione per imprese e istituzioni. Per anni ha scritto su la Repubblica ed è autore del libro "La guerra del vino". Tramite Gramsci ha fatto suo il motto di Romain Rolland: pratica il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà.
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Baby Reindeer, la miniserie televisiva prodotta da Clerkenwell Films e distribuita da Netflix dall’aprile 2024, parla di temi complessi eppure universali, e li trasforma in narrazioni coinvolgenti anche quando provoca un certo disagio allo spettatore. Gli effetti di un trauma irrisolto, l’incapacità di far i conti con se stessi, l’inquietudine come un fatto generativo, ma in negativo.

Ed è forse proprio quella l’emozione che consente a chi guarda di immedesimarsi in Donny, il giovane barman col sogno di fare lo stand-up comedian e che proprio al bancone del pub conoscerà Martha, la sua stalker, interpretata da una inquietante e per questo bravissima Jessica Gunning.

Una produzione che va oltre il semplice intrattenimento per offrire uno sguardo profondo sulla natura umana e sulle sue zone più buie. Basata sulla storia vera di Richard Gadd, la serie offre una potente metafora sulla difficile gestione dei traumi psicologici di ognuno di noi e sulla necessità di risolversi come persone.

La trama si sviluppa su due binari paralleli: da un lato il protagonista è impegnato nella caccia alla vera identità di quella che senza che se ne accorgesse è diventata la sua stalker (o forse sì, e la lascia fare?), dall’altro c’è l’esplorazione di un trauma subito che ha spento sogni, energie e speranze e attivato meccanismi distruttivi, di autosabotaggio.

La serie mantiene alta la tensione grazie a una regia dinamica e a un montaggio serrato, che gioca con continui salti temporali. L’atmosfera claustrofobica e una fotografia cupa contribuiscono a creare un senso di disagio e oppressione nello spettatore, amplificando l’inquietudine vissuta dal protagonista.

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Baby Reindeer, da storia personale a narrazione universale

Donny Baby Reindeer

Ciò che rende “Baby Reindeer” così efficace dal punto di vista narrativo è la sua capacità di trasformare una storia personale in una narrazione universale: lo show non si limita a raccontare la vicenda di Donny e della sua ossessione, ma è capace di parlare a tutti perché riflette su temi più ampi legati alla condizione umana.

Chiunque riconoscerà qualcosa di sé, e non solo quando si tratta della vittima. Attraverso il personaggio di Donny, e poi quello di Martha, la serie esplora – senza giudicare – il concetto di ossessione e la sua interazione con la psiche umana. Racconta in modo chiaro e potente come uno sconvolgimento emotivo mai superato possa trascinare una persona in una spirale sempre più buia, portandola a compiere azioni che altrimenti non avrebbe mai considerato.

E dunque si tratta di fare i conti con se stessi. Con i propri traumi, le proprie fragilità, le proprie paure. La propria impreparazione ad alcuni eventi che ci sconvolgono. Mentre Donny ingaggia un’inconsapevole lotta con se stesso per liberarsi da ciò che lo tormenta, si trova ad affrontare i suoi demoni interiori e a confrontarsi con le sue paure più profonde.

È solo attraverso questo processo di liberazione dal lato oscuro di sé che riesce a trovare una via d’uscita dalla sua ossessione e a recuperare il controllo sulla sua vita. E in qualche modo è così anche per Martha. Un leggero spoiler: non è lei la villain della storia.

La serie si avvale di una narrazione coinvolgente e di una regia magistrale che cattura l’attenzione dello spettatore fin dal primo episodio. La tensione crescente e il senso di suspense sono sapientemente costruiti, mantenendo lo spettatore sul bordo del suo posto mentre la storia si dipana. Gli attori offrono interpretazioni sorprendenti e convincenti, trasportando lo spettatore nel mondo turbolento e ossessivo di Donny e Martha.

Baby Reindeer, molto più che un’intricata storia di stalking

Ma ciò che rende “Baby Reindeer” davvero interessante è la sua capacità di andare oltre la semplice narrazione di una storia di stalking, traumi ed ossessioni, peraltro raccontata anche con il linguaggio ironico della dark comedy, in cui gli inglesi sono maestri. La serie offre uno sguardo intimo sulla complessità della mente umana e sulla lotta per il controllo e l’equilibrio interiore. È una storia di emancipazione da sé, di auto-accettazione, che riflette la natura umana nella sua interezza, con tutte le sue contraddizioni e ambiguità.

“Baby Reindeer” si rivela così non solo una serie televisiva che cattura chi la guarda con mezzi diversi da quelli a cui è abituato, ma anche una profonda riflessione senza tempo sulla condizione umana. Una storia che rimarrà con lo spettatore a lungo dopo la sua visione, invitandolo a riflettere sulle proprie esperienze e sulle proprie paure più profonde.

Come recita una famosa poesia di Giorgio Caproni: “Mi sono risolto. / Mi sono voltato indietro. / Ho scorto uno per uno negli occhi / i miei assassini. / Hanno / – tutti quanti – il mio volto.”

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