Riforma Ue Copyright: distruggerà la libertà di espressione in Internet?

Silvia Buffo
Silvia Buffo
Silvia Buffo, 1985, giornalista. Ha fondato e dirige Il Digitale. Formazione classica e filologica, un dottorato di ricerca in Letteratura italiana, sui legami tra scrittura e nuovi media. “La bellezza è promessa di felicità” è il suo motto, che ha delicatamente rubato a Stendhal.
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È in questi giorni che il testo per la Riforma Ue sul Copyright viene sottoposto alla commissione giuridica del Parlamento Europeo prima dell’approvazione definitiva. Potrebbe rappresentare un grave attentato per la libertà di espressione. Sotto accusa soprattutto Articolo 11 e Articolo 13. Il progetto europeo di riforma del diritto d’autore online si appresta a essere votato dalla commissione giuridica del Parlamento Europeo, che da ieri sta già esaminando il testo. E suscita non poche preoccupazioni.

Il progetto nasce per sanare gli squilibri del mercato digitale ma rischia di fare peggio

“Potrebbe distruggere Internet per come lo conosciamo“. A farsi portavoce di questa ipotesi un gruppo di europarlamentari rappresentati dal membro Julia Reda, relatrice per il Parlamento Europeo del dossier sulla riforma del copyright:

Il progetto limita la libertà di espressione online e mette in difficoltà i piccoli editori e le startup innovative“.

Un paradosso se pensiamo che il testo è nato proprio allo scopo di sanare gli squilibri del mercato digitale. La riforma Ue sul diritto d’autore nell’editoria digitale si inserisce all’interno della strategia del mercato unico digitale, proposta dalla Commissione Europea nel 2015, con l’obiettivo di creare una società digitale europea unita e sostenibile. Ecco i motivi per cui Articolo 11 e Articolo 13 destano non poche preoccupazioni.

L’articolo 11 prevede una tassa sui link

L’articolo 11, Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale, propone di introdurre una link tax: una vera e propria tassa sui link. Come funziona? Gli editori si fanno pagare i diritti per la pubblicazione di un link a un loro articolo, qualora il link citi un estratto di contenuto. Ma non basta. I diritti di copyright si estenderanno agli snippet, le anteprime degli articoli con titolo, immagine e sommario incorporate in maniera automatica dai social network e dagli aggregatori di notizie quando pubblicano un link.

Quali rischi per i piccoli editori?

A livello formale nulla da dire, ma cosa succede praticamente?

“Nella realtà dei fatti senza interfacciarsi con un aggregatore l’editore non ha potere di mercato – come ha commentato l’Avvocato Cavalcanti-. Ridimensionare gli aggregatori danneggia il singolo publisher, che se non riesce a strappare un accordo all’aggregatore di turno è destinato ad avere una vita difficile in termini di search engine”.

Mentre gli editori, seppur involontariamente, si troverebbero a beneficiare di un diritto inalienabile a cui rinunciare sarebbe praticamente impossibile, i piccoli editori e i blogger si vedrebbero rimuovere notizie e contenuti e dunque la possibilità stessa di produrli.

Questa impostazione in effetti rischia di avere un effetto boomerang: la riforma presuppone l’esistenza di accordi contrattuali tra gli oligopolisti del web e i singoli editori con lo scopo di tutelare questi ultimi, che d’altro canto non hanno risorse sufficienti per negoziare in maniera paritaria con il Google di turno“- conclude l’avvocato Cavalcanti- . “È quindi sempre più necessario andare verso una dimensione associativa dei piccoli editori che sia in grado di rappresentarli adeguatamente e di garantire parità di trattamento tra editori e provider. Il che richiede, in prima battuta, di prevedere regole chiare su che cosa debba intendersi per piccolo editore”.

Articolo 13: nel mirino Facebook e Youtube

Identica preoccupazione per l’Articolo 13, riguarda sia il titolare dei diritti sia il gestore della piattaforma. Come si evince chiaramente dal testo, risulteranno illeciti i contenuti postati da eventuali utenti con copyright di terzi su YouTube, Facebook e altri:

L’utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricato dagli utenti”, stabilisce che “i prestatori di servizi della società dell’informazione” adottino “in collaborazione con i titolari dei diritti misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi con essi conclusi per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte a impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi“.

Quanto, realmente, c’è da preoccuparsi?

Potrebbero essere applicate norme per ridurre il campo di operatività dell’art. 13. Ciò significherebbe che una volta entrato in vigore non è detto che ogni condivisione di contenuti protetti da parte di privati debba ritenersi necessariamente illecita. A ridimensionare l’allarmismo di questi giorni è anche la consapevolezza che la disciplina preveda un accordo fra publisher e platform provider, in tal modo la possibilità di ledere il diritto all’informazione o alla satira sfumarebbe da sé. Ma come saranno gestiti i rapporti contrattuali tra provider ed editori? Considerando che l’iniquità è alla base dello stato attuale, dato che alcuni editori hanno maggior peso di altri. Facendo un esempio pratico: se Google dovesse scegliere tra il conformarsi a un accordo con la Rai o un’altra grande azianda della stessa portata, e rispettare il diritto all’autodeterminazione del singolo individuo, qualora rischiasse una multa con essa, cosa sceglierebbe? La risposta sembra quasi scontata. Vincono i più forti.

L’esempio Agcom in Italia

In Europa ad oggi il problema era stato gestito con un approccio locale. In Italia ad esempio la tutela del diritto d’autore online si è regolamentata dando all’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il ruolo di contrastare contenuti potenzialmente illeciti. Funziona così: in seguito ad una segnalazione, l’Agcom effettua verifiche su un contenuto e senza l’acquisizione di prove può stabilire se il gestore della pagina internet e i prestatori di servizio hanno ospitato illecitamente il link, inducendo alla rimozione. Sono possibili anche la disabilitazione dell’accesso al sito Internet, al dominio oppure dall’IP associato, e il reindirizzamento verso una pagina Internet diversa, su cui molto probabilmente si indicherà che quel contenuto è stato rimosso per violazione dei diritti d’autore, al fine di sensibilizzare alla legalità.

Ma quale futuro per la libertà di espressione? Ancora è tutto da scrivere. Ci auguriamo che la priorità, in un’ottica di un’equa analisi della lettura del testo di riforma, sia quella di dare rilevanza ai piccoli editori e alle startup, garantendo la possibilità di crescere e non penalizzandoli rispetto ai titani dell’editoria. di Silvia Buffo

 

 

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