mercoledì, 26 Marzo 2025
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No-profit vs enti del Terzo settore: le differenze chiave

Grazie alla Riforma del Terzo settore è stato possibile fare delle differenze, distinguendo tra no-profit ed enti del Terzo settore. Vediamo, nello specifico, quali sono queste diversità.

Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.

Negli ultimi anni, termini come “no-profit”e “Enti del Terzo Settore” (ETS) sono diventati sempre più frequenti, oltre ad essere utilizzati in modo intercambiabile.

Sebbene si tratti, in entrambi i casi, di due tipologie di enti con finalità non lucrative, presentano sostanziali differenze sia a livello normativo che di struttura e finalità operative.

Differenze chiave tra no-profit ed enti del Terzo settore

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L’universo del no-profit è convenzionalmente composto da organizzazioni che hanno cinque caratteristiche: natura giuridica privata, essere formalmente costituite, tramite statuto, accordo o contratto tra i membri, non esserci distribuzione di eventuali profitti, autogoverno e una certa quota di lavoro volontario. Alcune leggi del nostro Paese prevedono un ulteriore requisito che consiste nella democraticità dell’organizzazione, ossia l’elezione delle cariche e la partecipazione degli aderenti.

La differenza principale tra no-profit ed enti del Terzo riguarda tutto il quadro normativo che li disciplina e regolamenta. Mentre il no-profit è un concetto più ampio che, come abbiamo visto, si riferisce a qualsiasi organizzazione senza scopo di lucro, gli enti del Terzo settore sono soggetti all’omonima Riforma e a specifiche regole previste dal Codice del Terzo settore. Questo offre loro maggiori opportunità di finanziamento e benefici fiscali, ma richiede anche impegni significativi in termini di trasparenza e rendicontazione.

Ad influire significativamente è stata la Riforma, che ha permesso di uniformare le norme e incentivato la professionalizzazione del settore, aumentando la fiducia verso le organizzazioni che operano con finalità sociali. Ma quali sono, in sostanza, le differenze principali?

  1. Quadro normativo. La no-profit non ha una regolamentazione unitaria e comprende tutte le organizzazioni che operano senza fine di lucro, come associazioni culturali, sportive o fondazioni. Gli enti de Terzo settore devono, invece, rispettare il codice del Terzo settore e iscriversi al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS)
  2. ⁠Scopo e attività. La no-profit può perseguire qualsiasi finalità senza scopo di lucro (es. attività ricreative, sportive e culturali). Gli enti del Terzo settore devono operare in ambiti definiti dalla legge (ad esempio assistenza sociale, educazione, promozione culturale e tutela ambientale)
  3. ⁠Regime fiscale. La no-profit beneficia di agevolazioni fiscali generiche, ma meno strutturate. Gli enti del Terzo settore godono di vantaggi fiscali specifici, come l’accesso al social bonus e detrazioni maggiori per chi effettua donazioni
  4. Trasparenza e obblighi amministrativi. La no-profit non ha obblighi specifici di rendicontazione mentre gli enti del Terzo settore devono rispettare standard rigorosi di trasparenza, come la pubblicazione del bilancio sociale
  5. ⁠Accesso a fondi pubblici e privati. La no-profit ha meno opportunità strutturate di finanziamento. Gli enti del Terzo settore, invece, possono accedere a bandi pubblici dedicati e godere di maggior fiducia per attrarre investimenti privati

Leggi anche: Avviare un’organizzazione no-profit in Italia: guida passo-passo

No-profit vs. ETS: cosa li differenzia?

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Il no-profit è un concetto ampio e generico che include tutte le organizzazioni senza scopo di lucro, mentre gli enti de Terzo settore sono una categoria più specifica e regolamentata, dentro la quale si possono evidenziare a loro volta le organizzazioni di volontariato. Un’organizzazione no-profit ha natura privata e non vi è distribuzione degli utili mentre un ETS, oltre a essere no-profit, agisce in termini di solidarietà e ha una democrazia partecipativa.

La scelta tra le due dipende dagli obiettivi dell’organizzazione e dalla necessità di accedere a benefici fiscali e finanziamenti strutturati. Gli enti del Terzo settore si dividono in sette categorie:

  • Organizzazioni di volontariato (ODV)
  • Associazioni di promozione sociale (APS)
  • Enti filantropici
  • Imprese sociali (che sono però specificamente regolate dal D.Lgs.112/2017. Sono tali di diritto le cooperative sociali)
  • Reti associative
  • Società di mutuo soccorso
  • Altri enti del Terzo settore, categoria che comprende associazioni e fondazioni

Sono parzialmente ETS anche gli enti religiosi. Non sono enti del Terzo settore: le società, le pubbliche amministrazioni, i sindacati, le associazioni politiche, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti.

Fra le no-profit che sono anche di Terzo settore vi sono le organizzazioni di volontariato, che agiscono tenendo fede ai principi della gratuità, solidarietà e democraticità, oltre ad essere regolate dalla legge 266/1991. Per costituire un’ODV è richiesto: un numero di persone fisiche non inferiore a sette o un numero di almeno tre ODV socie. La denominazione deve l’indicazione di “organizzazione di volontariato” e l’acronimo ODV, mentre l’attività sarà svolta principalmente dai volontari associati pur essendoci la possibilità di avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo.

Se si opera in settori come assistenza sociale, educazione o ambiente, diventare enti del Terzo settore garantisce più vantaggi, come l’accesso ai fondi pubblici e più donazioni, grazie ai benefici fiscali per i donatori. Anche se, dall’altra parte, prevede maggiori risorse e competenze per rispettare gli obblighi normativi.

La Riforma e il RUNTS

La differenziazione principale tra no-profit ed enti del Terzo settore nasce dalla Riforma del Terzo settore, introdotta proprio per mettere ordine all’interno del vasto universo del no-profit. Sicuramente diventare un ente del Terzo settore rappresenta la scelta strategica che permette di operare in modo più trasparente e beneficiare di maggiore riconoscibilità.

La Riforma ha creato un quadro giuridico uniforme per gli enti che desiderano entrare nel registro degli enti del Terzo settore. Prima della sua entrata in vigore, il no-profit italiano era regolato da norme frammentarie, che creavano discrepanze tra le diverse tipologie di organizzazioni. Oltre alla Riforma anche il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) ha rappresentato una svolta nella gestione degli enti del Terzo settore. Quelle organizzazioni che vi si iscrivono acquisiscono uno status particolare, che comporta non solo vantaggi fiscali, ma anche maggiori responsabilità. Tutto ciò, invece, non è richiesto alle organizzazioni no-profit tradizionali, che possono operare senza registrazione ufficiale, ma necessitano di un riconoscimento inferiore.

Altro aspetto da sottolineare è che gli enti del Terzo settore attraggono più facilmente donazioni e fondi pubblici, grazie alla trasparenza richiesta dal CTS. Inoltre, i donatori privati godono di benefici fiscali maggiori rispetto a quelli che finanziano organizzazioni generiche no-profit. Infine essere un ente del Terzo settore rappresenta una garanzia di maggiore affidabilità e impegno sociale. Gli obblighi di trasparenza e la rendicontazione dettagliata aumentano la fiducia da parte di istituzioni, aziende e cittadini.

Leggi anche: Come gestire le donazioni online di una no-profit

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Michela Sacchetti
Michela Sacchetti
Intuitiva, con un occhio attento alla realtà e alla sua evoluzione, attraverso una lente di irrinunciabile positività. Vede sempre nella difficoltà un’occasione preziosa per migliorarsi da cogliere con entusiasmo.

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