Smart working, fa felici i dipendenti ma anche le aziende

Federica Tuseo
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Federica Tuseo. Classe 1994. Redattrice. Nomade digitale, alla costante ricerca di novità e sempre pronta a partire per girare il mondo, raccontando storie di vita vissuta. Una laurea triennale in Lingue e culture moderne ed una magistrale in Media, comunicazione digitale e giornalismo. Web, startup e innovazione sono i suoi orizzonti di ricerca.
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Ogni giorno si mette in atto la solita routine: sveglia presto, poi in macchina o nei mezzi perdendo ore interminabili in coda o in attesa di bus sempre troppo pieni, per arrivare a lavoro chiusi in stretti cubicoli o in sale riunioni per interminabili meeting. Questi paradigmi stanno lentamente invecchiando e la risposta alle esigenze emergenti potrebbe essere lo smart working. Grazie a questo modello lavorativo innovativo perdono di valore abitudini come avere un luogo fisso di lavoro, per dar spazio a nuove prospettive come lavorare per se stessi, acquisire e condividere competenze, essere creativi e in grado di auto-organizzarsi. Sono tante le definizioni di smart working, ma tutte confluiscono in un principio unitario, ossia quello di attività lavorativa svolta in uno spazio fisico non definito che ha lo scopo di incrementare la produttività e favorire la conciliazione dei tempi vita-lavoro, riducendo lo stress. Gli elementi chiave di questa nuova metodologia di lavoro sono tre, che in inglese vengono indicati con le 3 B: Bricks, Bytes & Behaviours. E che potremmo sintetizzare così:

  • Bricks = Mattoni: la riorganizzazione degli spazi di lavoro rendendo l’ufficio flessibile ed estendibile anche oltre le mura
  • Bytes = Tecnologia: l’utilizzo di tecnologie collaborative e flessibili
  • Behaviours = Comportamenti: il passaggio da un sistema di controllo orario ad un sistema basato sulla fiducia.

Leggi anche: “Le migliori strategie per aumentare la produttività

Smart working: che regole seguire?

Se nei paesi anglosassoni il fenomeno è presente da più tempo, in Italia è solo dal 2013 che è sorto un più significativo interesse che sta, peraltro, esponenzialmente crescendo negli ultimi tempi. Molte sono infatti le esperienze virtuose di altri paesi europei ed extraeuropei: uno fra tutti l’Olanda, prima nazione ad aver cercato di introdurre la modalità di lavoro agile, altro sinonimo con cui ci si riferisce al modello lavorativo smart, e lo ha fatto quando la tecnologia ancora non permetteva la continua connettività che ora invece è possibile. In Italia, quando la Camera dei Deputati ha approvato la disciplina normativa dello smart working, la L. n. 81/2017, le nuove regole sulla modalità lavorativa hanno dato una bella virata alla filosofia aziendale e manageriale delle imprese italiane. Tuttavia, alcune realtà dimostrano ancora un certo scetticismo e un’incertezza di fondo nei confronti del fenomeno, spesso aziende di media-piccola dimensione, che temono di perdere il “controllo” dei propri dipendenti. A ben vedere, molti di questi timori sembrano essere infondati e frutto , soprattutto, della poca attitudine al cambiamento, atteggiamento non condiviso, infatti, dalle grandi aziende, sin da subito interessate al fenomeno. A dimostrare che i timori delle imprese, circa la gestione del proprio staff, sono infondate c’è lo studio dell’Istituto dell’Economia Tedesca, che ha analizzato il comportamento di un gruppo di dipendenti cui l’azienda ha dato la possibilità di lavorare con un minor controllo da parte dei superiori. Circa il 60% dei dipendenti si è dichiarato molto soddisfatto del loro lavoro nei casi in cui le aziende hanno optato per livelli inferiori di controllo e, ovviamente, il controllo è molto più basso quando si lavora da casa.

Alcune aziende hanno ancora paura di perdere il controllo consentendo ai dipendenti di lavorare da casa, o temono di dare loro orari di lavoro più flessibili – ma il nostro studio dimostra chiaramente che non c’è motivo di preoccuparsi.

Ha dichiarato Dominik Enste, un ricercatore coinvolto nel sondaggio dell’Istituto dell’ Economia Tedesca. Un’altra dimostrazione è il sondaggio European Working Conditions effettuato da Eurofund, in cui si conferma come la presenza del capo sul posto di lavoro non aumenta la produttività dei dipendenti, anzi, la limita. Secondo il sondaggio, infatti, il controllo diretto è stato un fattore che ha influenzato la velocità cui i dipendenti hanno lavorato solo per il 2% dei partecipanti, mentre il 35% di essi ha dichiarato che avrebbe impostato il proprio ritmo di lavoro in base alla velocità dei colleghi, mentre il 26% migliora la produttività se c’è un cliente. Leggi anche: “Project manager professione del futuro: nei prossimi 10 anni ne serviranno 22 milioni

Solo vantaggi e produttività per chi lavora in modalità smart

L’accettazione e l’implementazione di modelli di lavoro agile permettono di ottenere risultati positivi sia a livello di organizzazione aziendale, sia a livello di comunità e vita dei lavoratori. In sintesi le ragioni che spingono le aziende verso la scelta dello smart working sono:

  • Migliora la produttività dei lavoratori: un singolo lavoratore più produttivo porta ad avere team più produttivi e quindi ad aumentare i risultati positivi dell’intera organizzazione
  • Riduce l’assenteismo: il lavoratore, svincolato da logiche di leadership vincolante e pressione dall’alto, è portato ad apprezzare maggiormente il proprio impiego
  • Riduce i costi di gestione dello spazio fisico: la riorganizzazione degli spazi va incontro a mobilità e flessibilità del lavoro, perciò si riducono gli uffici e aumentano gli ambienti comuni
  • Migliora l’offerta per i clienti: lavoratori coinvolti in un ambiente di lavoro coeso, trasparente, collaborativo, generano continuamente idee e le sperimentano internamente.

Perché smartworking è sinonimo di eco-sostenibilità?

Inoltre, sia imprese che dipendenti potranno godere dei benefici legati al minore impatto ambientale di un’attività lavorativa svolta come smart worker. Considerando che in media le persone percorrono circa 40 chilometri per recarsi al lavoro sempre nell’ipotesi di un giorno a settimana di lavoro da remoto, si potrebbe ottenere un risparmio in termini di emissioni per persona pari a 135 kg CO2 all’anno. Dando uno sguardo ai vantaggi generati a favore esclusivamente dei lavoratori, in particolare, abbiamo:

  • Più consapevolezza del proprio lavoro: il dover gestire in autonomia i propri doveri porta ad un interesse maggiore nelle proprie opportunità di crescita professionale e personale
  • Più produttività: legato alla possibilità di lavorare in un ambiente dinamico, innovativo e collaborativo
  • Più soddisfazione personale: dovuto agli obiettivi raggiunti, ma anche ad una maggiore flessibilità in termini di orari, non esiste più l’8–17 e timbro del cartellino, e spazi, lavoro da coworking, da casa, da parco, da filiale, da qualsiasi posto, garantendo la sicurezza dei dati
  • Più condivisione: lo smart worker non risulta essere un lavoratore “isolato”, ma anzi l’utilizzo di tale sistema organizzativo può facilitare anche fenomeni di socializzazione essendo più liberi di frequentare luoghi diversi
  • Miglioramento del proprio work-life balance
  • Riduzione dei costi e dei tempi legati al trasferimento casa-luogo di lavoro.

In conclusione, considerando i benefici dello smart working a livello di imprese, lavoratori e società, è spontaneo pensare a quanto possa essere importate sviluppare immediatamente una serie di interventi, al fine di incentivare un fenomeno che può dare nuovo slancio al nostro sistema Paese. di Federica Tuseo

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