“L’accesso a Internet è diritto di tutti”: perché in Italia 16 milioni ancora non si collegano?

Valentina Cuppone
Valentina Cuppone
Valentina Cuppone, classe 1982. Caporedattore de Il Digitale. Formazione umanistica, una laurea in Lettere Moderne e una specializzazione in Comunicazione della cultura e dello spettacolo all’Università di Catania. Curiosa e appassionata di ogni cosa d’arte, si nutre di libri, mostre e spettacoli. Affascinata dal mondo della comunicazione web, il suo nuovo orizzonte di ricerca è l''innovazione.
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«La forza dello Stato consiste nel mettere alcuni oggetti e servizi fuori dalla normale dinamica del mercato proprio perché non devono essere concessi in funzione della disponibilità economica delle persone. Per il solo fatto che una persona esiste deve poter bere, respirare, informarsi, spostarsi e collegarsi alla rete». Queste le recentissime parole di Davide Casaleggio, secondo cui l’accesso alla rete è ormai diventato un diritto fondamentale dell’uomo e una necessità strategica per lo Stato e le imprese. Paragonando il diritto acquisito di usufruire dell’acqua alla libera e gratuita possibilità dei cittadini di connettersi a internet negli spazi pubblici, il presidente e fondatore della piattaforma Rousseau invita a garantire «l’internet potabile a tutti». Inizialmente ogni diritto è privilegio di pochi. Così come l’innovazione deve percorrere un suo iter prima di diventare appannaggio di molti. Leggi anche: La scuola digitale per cittadini più consapevoli: l’evoluzione di “Rousseau” Internet è una delle più importanti rivoluzioni tecnologiche del millennio e da qualche anno viene riconosciuto anche come diritto fondamentale dell’uomo. Inizia così la sua istituzionalizzazione, accompagnata dalla consapevolezza di essere ormai un valore essenziale per tutti. Ora tocca allo Stato farsene carico.

Accesso alla rete come bene primario

Nell’era digitale la possibilità di connettersi a Internet è per i cittadini una fonte inesauribile di opportunità, un’occasione importate per non essere tagliati fuori da un mondo e da tutti i benefici che ne possano derivare. Su internet oggi si studia, si lavora, si sbrigano pratiche burocratiche, si trovano affari e offerte di ogni tipo. Ci si informa. Si legge. Si creano contenuti condividendo con la rete opinioni, forme d’arte, giochi, stupidaggini. È la tecnologia che mette in contatto ognuno di noi con il mondo e il mondo con ognuno di noi. Esserne tagliati fuori, per impossibilità economica, per mancanza dei mezzi necessari, per fattori culturali e di educazione, diventa una fonte di disuguaglianza sociale ed economica.

Il digital divide nella società dell’informazione

Nell’era digitale è difficile pensare che ci sia chi non può o non sa connettersi ad Internet. Invece è più comune di quanto si creda. Il digital divide è uno dei problemi più discussi all’interno della società dell’informazione e incide sulla possibilità dei cittadini di poter partecipare alla sfera pubblica in rete e alle economie basate sulla produzione di informazione. Che sia a causa della mancanza di disponibilità di tecnologie mobili, o per fattori di incapacità ad usarle, il problema è stato più volte discusso dalle varie istituzioni nazionali e internazionali per cercare di trovare delle soluzioni. Ma prima di tutto, per riconoscere e istituzionalizzare l’accesso alla rete come diritto fondamentale dell’uomo. Come bere, mangiare e respirare. Leggi anche: Di Maio: 30 minuti di Internet gratis per tutti e NO a Link Tax, è una tassa bavaglio. Come ricorda Casaleggio, l’Onu ha fatto un primo passo nel 2016, sancendone la natura di diritto. Una volta riconosciuto come tale, il passo successivo dovrebbe essere quello della pubblicizzazione di tale diritto.

“Lo Stato deve garantire accessi a cui tutti possano connettersi gratuitamente”

Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau.
O almeno dovrebbe. Per sostenere la sua posizione, Casaleggio porta come esempio alcuni Stati e città del mondo dove questo già avviene. Parla del Kerala, che con un investimento di 14 milioni di euro è riuscito a far collegare i suoi abitanti. O dell’Estonia, dove c’è il wifi aperto lontano dalle case private. Londra, Berlino, Bergen, Australia. In quasi ogni parte del mondo si cerca di rendere possibile collegarsi gratuitamente alla rete. Dare questa possibilità può rappresentare un primo tassello contro la disparità nell’utilizzo della tecnologia che rappresenta, comunque la si voglia interpretare e da qualsiasi lato la si voglia vedere, un danno al cittadino in termini di perdita di opportunità di inclusione. La rete rappresenta oggi un mezzo importante e quasi necessario per il progresso e lo sviluppo. Un modo per poter essere sempre informati e una risorsa per facilitare la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione delle società democratiche. A dimostrazione di come il superamento del digital divide è un problema che pesa nelle strategie nazionali e internazionali, Casaleggio ricorda che l’Unione Europea ha messo a disposizione alcuni finanziamenti, come i 120 milioni di euro per garantire accessi wifi gratuiti nelle principali città europee in parchi e spazi pubblici.

E in Italia? 16 milioni di persone ancora non si collegano a Internet

Nel nostro Bel Paese, sono circa sedici milioni le persone che non si collegano a Internet e ventisette milioni quelle che non si collegano al mese. Un problema a cui è giunto il momento di cercare di dare una soluzione. L’invito arriva dal presidente dell’Associazione Rousseau, la piattaforma che rende possibile la partecipazione attiva dei cittadini alla democrazia. L’incoraggiamento affinché si creino «le fontane di Internet» per rendere potabile l’acceso alla rete, suona come uno stimolo per tentare di mettere nelle mani di tutti noi uno strumento utile per se stessi e per la società. Ed è forse ovvio e scontato che non basterebbe l’accesso alla rete gratuito e pubblico per migliorare le sorti del nostro paese né per rendere più consapevoli tutti noi. Servirebbero formazione, informazione, educazione nell’accezione più ampia del termine. Ma questa è un’altra storia. di Valentina Cuppone

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